Che cosa è emerso dal convegno “I confini del digitale. Nuovi scenari per la protezione dei dati” – 3/3

GDPR Specialist / Digital Law Consultant

Che cosa è emerso dal convegno “I confini del digitale. Nuovi scenari per la protezione dei dati” – 3/3

La sovranità nell’era digitale

L’arrivo del digitale in diversi ambiti e settori coincide con l’insediamento di un suo potere sovrano – questo l’argomento principale introdotto dalla professoressa Licia Califano, componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali. Di fronte a questa evidenza, non solo più di natura commerciale, si presentano sostanzialmente due problemi:

  • che cosa è possibile fare adesso nei confronti di questo nuovo potere digitale?
  • qual è la strategia migliore da adottare per il futuro nel contesto europeo?

Il primo a proporre delle possibili strade da percorrere è stato il giudice costituzionale Giuliano Amato il quale, a fronte di un potere statale scalzato di parte della sua sovranità, non ha nascosto un certo sollievo. Non potrebbe essere altrimenti per chi ha vissuto la seconda guerra mondiale e le sue tragedie e ha identificato “nella sovranità degli stati il nemico da eliminare perché era stato la fonte di una conflittualità divenuta armata e che si è tramutata in tragedia per milioni di essere umani”. Del potere sovrano statale di un tempo, ormai, è rimasta essenzialmente la difesa dei propri tratti identitari ed essenziali e la difesa in ambito militare. Come si è potuti arrivare ad un simile risultato? Il giudice costituzionale ha messo in mostra come tale perdita non sia arrivata perché c’è stata una legge superiore che è prevalsa su un’altra, ma perché la forza di un processo è stata, semplicemente, superiore a quella di un altro. Ormai, al giorno d’oggi, molto difficilmente troveremo un paese che dirà di essere soggetto legalmente ad un altro – questa concezione appartiene ad un mondo che non è più il nostro. Ci sarà, invece, chi si porrà il problema di assoggettare parti rilevanti della vita di un paese a qualcosa che non è espressione di quel paese. Questo tipo di processo avviene di solito in scenari economici, ma ora anche nell’assetto politico-istituzionale dei paesi con l’intervento nei loro processi elettorali. In questi casi è stata infatti attentata una ulteriore parte di sovranità, ulteriore rispetto a quella dello stato: il singolo cittadino e la sua volontà. La digitalizzazione ha favorito enormemente questi processi che – è bene evidenziarlo – ci sono sempre stati ma in forme e con capacità di realizzazione e penetrazione molto più limitati. È vero che l’acquisizione di dati degli individui è stato in origine giustificato per motivi di sicurezza, ma ciò non toglie che occorra una continua verifica di questi processi per evitare un’eccessiva disparità – come è stata rilevata nel caso Schrems dalla Corte di Giustizia europea. In ottica futura e in considerazione delle potenzialità di espansione dell’intelligenza artificiale, invece, il giudice costituzionale ha assunto una netta presa di posizione: l’autolimitazione. Questo ammonimento è frutto dell’esperienza maturata nella metà del secolo scorso quando lo sviluppo tecno-militare dell’epoca permetteva la creazione di ordigni nucleari, che sono stati infine realizzati e utilizzati con le indicibili conseguenze che la storia ci ha in seguito consegnato. L’invito è quindi quello di non dare seguito necessariamente a tutto ciò che è tecnicamente possibile creare.

La debordante importanza che hanno assunto i dati al giorno d’oggi è stata illustrata in maniera tanto semplice quanto efficace dal direttore de “La Stampa” Maurizio Molinari: dal 1 gennaio 2016 ad oggi sono stati prodotti più dati di quanti non ne siano mai stati prodotti dalle origini della storia dell’umanità fino al 31 dicembre 2015, e un simile numero si moltiplica continuamente ad una velocità che supera la nostra umana comprensione. A fronte di questo dato così impressionante, la domanda è: come si può governare un flusso di dati così impetuoso?
Il giornalista ha richiamato innanzitutto i due modelli principali al mondo: quello americano e quello cinese. Mentre nel primo caso le grandi corporation gestiscono le reti, e gestire le reti significa gestire anche i dati, nel secondo è lo stato a possedere le reti. Entrambi i modelli sono vulnerabili, anche se su versanti diversi. Negli Stati Uniti queste corporation sono in grado di poter orientare la raccolta di dati per poter meglio sfruttare i propri interessi economici. Nel caso cinese invece è lo stato ad essere unico ricettore di una quantità spropositata di dati derivanti da un miliardo di persone. Con lo sfruttamento di algoritmi predittivi dati dall’intelligenza artificiale e in grado di anticipare i ragionamenti umani, lo sviluppo in questo settore è dato da chi riesce a possedere il maggior numero di dati. In questa partita, per quanto detto finora la Cina risulta essere in netto vantaggio sia perché ha a disposizione una quantità superiore di dati (che tende a crescere quotidianamente) sia perché la tecnologia cinese, identica a quella statunitense, è più diffusa e disponibile ad un costo inferiore.
Quale spazio può avere l’Europa in questo contesto? Il GDPR rappresenta un approccio differente rispetto ai due modelli illustrati perché l’interesse non è né delle corporation né dello stato centrale, ma del singolo cittadino, in assoluta continuità con la nostra tradizione continentale. Tuttavia, dal momento che oggi ci confrontiamo con un mercato globale, alcune nostre aziende sono tentate di acquistare reti che appartengono a soggetti extraeuropei, ponendo quindi problemi legati alla costruzione e soprattutto alla gestione di queste reti. Questo momento storico è molto delicato perché l’avvento della nuova tecnologia del 5G (ad esempio, la stessa che consentirà alle auto di guidarsi da sole, o di avere schermi sugli smartphone in grado di dare la sensazione di poter toccare chi sta dall’altra parte durante una videochiamata) comporterà una svolta importantissima nell’arco dei prossimi tre anni.
Rispetto al futuro, il direttore de “La Stampa” non ha intravisto possibilità concrete di poter gestire efficacemente, dal punto di vista tecnico, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, ma ha apprezzato la strada intrapresa dall’Europa nel senso di riuscire a governare questo processo attraverso la protezione efficace dei diritti dei cittadini attraverso norme sovranazionali quali il GDPR. Occorre, però, fare ancora molto. La sfida più grande sarebbe quindi riuscire a riportare, a declinare lo stato diritto all’interno del contesto digitale. Per riuscire in ciò occorrono nuove norme da sviluppare ad una velocità straordinaria per non perdere il distacco dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

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